La Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 18287 del 11.7.2018, ha introdotto nuovi criteri
per stabilire se il coniuge divorziato ha diritto a ricevere un assegno divorzile dall’altro.
Dopo il passaggio segnato dalla sentenza della Cassazione n.11504 del 10.5.2017, che richiama il parametro dell’indipendenza economica, l’assegno divorzile, con la sentenza citata, ha riacquistato la dignità che merita.
L’orientamento giurisprudenziale oggi in vigore, dunque, ha:
1 Abbandonato definitivamente il principio del tenore di vita, che effettivamente ha consentito forme di parassitismo inaccettabili
2 Abbondonato quello dell’autosufficienza economica che, al contrario, sviliva fortemente la ratio stessa del matrimonio, privando di ogni valore il contributo familiare del coniuge richiedente
3 Privilegiato la funzione equilibratrice – perequativa dell’assegno stesso.
L’accertamento della sussistenza del diritto all’assegno muove, quindi, dalla valutazione delle condizioni economiche delle parti, quello che nei Tribunali è denominato “il divario fra redditi” e che trova la sua collocazione se il divario trovi causa nelle scelte comuni fatte nell’ambito del matrimonio e ai ruoli endofamiliari assunti dai coniugi. Tenendo conto che tale accertamento non è astratto, bensì deve necessariamente essere calato nel caso concreto, ove assumono un ruolo determinante la durata del matrimonio, l’età del richiedente, il contributo dato dal coniuge nella famiglia, cosicché ne deriva un giudizio complesso che si articola nella declinazione dei criteri elencati nell’art.5, co.6 L.898/1970.
UN CASO CONCRETO (di pura fantasia)
Prendiamo ad esempio due coniugi con un matrimonio di lunga durata in regime di separazione dei
beni. La moglie aveva dato un apporto concreto alla famiglia rinunciando alle sue aspirazioni professionali per sostenere il marito nella carriera, dedicandosi alla famiglia e ai tre figli pur mantenendo un’occupazione part time di scarsa redditività per privilegiare il ruolo endofamiliare che di concerto i coniugi avevano deciso. Il marito aveva fatto una splendida carriera a cui corrispondeva un’ottima redditività grazie alla quale quest’ultimo aveva accumulato un considerevole patrimonio personale, oltre a mantenere un buon tenore di vita familiare.
L’avvento della crisi coniugale avviene quando i figli erano ormai cresciuti e autonomi e la moglie aveva ormai compiuto 60 anni. E’ evidente che la separazione produceva una sperequazione notevole delle condizioni economiche dei coniugi, trovandosi la moglie al momento della separazione dotata di un reddito pari a €.1.000,00 mensili nonché priva di qualsivoglia patrimonio mobiliare o immobiliare in quanto tutti i risparmi e gli immobili erano di proprietà esclusiva del marito. Tenuto conto del divario fra i redditi delle parti che trova certamente causa nel matrimonio o meglio nei ruoli endofamiliari che i coniugi si erano assegnati, della lunga durata del matrimonio e dell’età della richiedente che non le consentiva di poter migliorare la propria posizione lavorativa ormai strutturata più come un riempitivo che come una carriera, in applicazione dei criteri sopra enunciati, la moglie avrebbe certo diritto all’assegno divorzile in cui è insito il riconoscimento degli apporti nonché la valorizzazione del ruolo endofamiliare attribuito.
LA FINALITA’
Secondo i principi introdotti dalla pronuncia a sezioni Unite della Cassazione, la solidarietà post coniugale impone un obbligo di contributo in cui la funzione assistenziale deve coniugarsi con quella compensativa – perequativa, pur nel rispetto di una visione prospettica della condizione raggiunta a livello economico dal coniuge richiedente l’assegno, e quella, che secondo un giudizio basato su dati medi e notori, avrebbe potuto raggiungere.
Di Carla Nassetti