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Piccole (grandi) donne
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Piccole (grandi) donne

Interpreti: Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Meryl Streep

C’erano una volta quattro giovani ragazze, una madre intelligente e altruista, un padre affettuoso e geniale, partito per il fronte. Questa è la storia del loro viaggio per diventare donne, un viaggio che comincia alla metà dell’Ottocento, gli anni della Guerra di Secessione.

“Piccole donne”, dal romanzo di Louisa May Alcott (pubblicato tra il 1868 e il 1869), è una delle storie più prolifiche per trasposizioni cinematografiche, con interpreti di caratura stellare (di volta in volta Katherine Hepburn, Janet Leigh, Peter Lawford, Elizabeth Taylor, Susanne Sarandon….), che ritrova in questa versione una freschezza ed una naturalezza estremamente convincenti e coinvolgenti.

Intendiamoci, vista oggi la storia della famiglia March può apparire (appare?) zuccherosa e datata, traboccante com’è di buoni sentimenti e di affettuose rimembranze. Chi non vorrebbe aver avuto un’infanzia così ricca e fertile? Chi non vorrebbe essere stato portato al mondo, educato, cresciuto in questo clima anticonvenzionale e stimolante?

Nonostante le difficoltà economiche, nonostante l’assenza del padre e le piccole quotidiane privazioni, la famiglia March attraversa quegli anni difficili come un viaggio di crescita e di maturazione, affronta le proprie sfortune rinsaldando i legami con il mondo quieto e un po’ malinconico che la circonda.

Condita con la giusta dose di Male, certo un po’ anonimo e generico, sotto forma di quelle inevitabili disgrazie che non trovano origine né ragione (la miserabile famiglia di vicini, prontamente aiutata dai March; la malattia declinante di Beth …), la storia segue con il garbo e la giusta alternanza di toni e sfumature le vicende delle quattro sorelle, diverse tra loro che più non si potrebbe, ma legatissime, in cerca del proprio posto nel mondo, prima ancora che dell’amore (ma arriverà, arriverà anche quello).

E ci consegna – inevitabilmente, trattandosi di un romanzo pedagogico – una proposta di educazione di vita intimamente seducente e invidiabile: più che un “come eravamo (erano)”, un deciso “come potremmo (o dovremmo) essere”.

Si può pensare che siano una storia ed un film fuori tempo e fuori luogo, per il nostro modo di vivere e di pensare di questi tempi: e in parte è vero, ed è ragion d’essere del fascino di questo racconto, che nel tempo è stato riproposto più volte dal cinema (1933, George Cukor; 1944, Mervyn LeRoy; 1994, Gillian Armstrong). Ma il racconto ha l’estraneità, se non dei miti, degli ideali, che sono attraenti proprio perché lontani, utopici: e l’Utopia, si sa, non è importante come traguardo raggiungibile, ma come ispiratrice del cambiamento e della crescita, che è la sostanza di questa storia.

Parlando (finalmente) del film, non si può che fare un elenco – forse anche noioso – di qualità e pregi: a partire dalle interpretazioni, tutte splendide e molto ben caratterizzate, con tutte le sfumature, le luci e le ombre, al posto giusto. Il tutto evidentemente gestito con molto, molto tatto dalla regista Greta Gerwig (Lady Bird, 2017).

In primis Saoirse Ronan, che esprime al meglio il temperamento di Jo (Josephine): anticonvenzionale, indipendente, combattuta tra desiderio di libertà e d’amore, combattiva e creativa. E poi Emma Watson, che veste con misura e grande naturalezza i panni di Meg, forte e tenera insieme. E poi e poi … Florence Pugh, una Amy volitiva e solo apparentemente frivola, e Eliza Scanlen, una perfetta Beth introversa e malinconica, di grande forza spirituale (bellissima la scena con Jo, nei suoi ultimi giorni), per finire con un’interpretazione di Meryl Streep (zia March) davvero da incorniciare, quasi un cameo.

Non è un film facile da avvicinare, nonostante le apparenze, questo settimo (yes, sette diverse versioni, dal ’33 ad oggi) “Piccole donne”: emoziona e coinvolge, come anticipato qui, può sembrare stucchevole: eppure resta, lascia dentro qualcosa di buono.

Che sia la forza della storia (testimoniata dalla sua longevità), o la capacità quasi fiabesca di incarnare e raccontare quell’atmosfera, fatta di una cura maniacale per l’ambientazione (costumi, locations, oggetti di scena, linguaggio …), di una fotografia sempre molto ‘allineata’ con i diversi toni della storia (basti pensare a come cambia lo sguardo sulla soffitta ‘magica’ di casa March, il quartier generale del quartetto di sorelle) e di un sostanziale rispetto per l’originale letterario, questo buon film riesce anche ad andare oltre l’emozione, lasciando un piacevole, sorprendente seme di riflessione.

Voto 8 e ½

Articolo scritto da:  Davide Benedetto

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Comments (2)

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