Negli ultimi anni la commedia francese a sfondo sociale ha sempre avuto successo, in Italia. La riscoperta del cinema transalpino, per anni categorizzato come “noioso”, ha avuto inizio sostanzialmente 10 anni fa, quando “Giù al Nord” ha rimarcato così bene la differenza tra Provenza e nord della Francia da costringerci a due trasposizioni italiane (purtroppo): “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord”, entrambi per la regia di Luca Miniero. Successivamente è stata la volta di “Quasi amici” (2011), dove il tema della disabilità (dei ricchi) toccava le corde dell’umana sensibilità. Poteva la tematica Gengle sottrarsi ad una trasposizione cinematografica in salsa ‘grandeur’? No non poteva, così nelle sale è arrivato “Un marito a metà”, con Didier Bourdon, Valérie Bonneton e Isabelle Carré. Quando la spenta Sandrine scopre che il marito la tradisce da un anno, chiede l’affidamneto alternato. Una settimana a testa, ma non dei figli, bensì del marito! Una settimana sta in famiglia, una settimana dall’amante. Di qui seguiranno tutta una serie di complicazioni per le quali il film sarà molto godibile e divertente, anche se surreale in certi passaggi. Il senso del succo è: ma l’amante è veramente quella persona meravigliosa in cui trovare ciò che evidentemente nel matrimonio manca o una volta che la “tresca” è stata scoperta e tutto è legale, viene a mancare il pepe e quindi il senso della cosa? Ma dovremmo saper valorizzare di più quello che abbiamo già senza sfasciare tutto ciò che abbiamo costruito o siamo degli irresistibili insoddisfatti e cerchiamo altrove ciò che già abbiamo salvo pentircene a posteriori? Ai posteri l’ardua sentenza, ovvero a noi Gengle che (nella maggior parte) sulla scoperta del tradimento abbiamo costruito la rinascita della nostra vita. La felicità (come capirà il protagonista alla fine) va strutturata su noi stessi, altrimenti è sempre un rincorrere l’isola che non c’è. Consigliato.